ROSASPINA. Una storia di lotta e di speranza.
Aggiornamento: 12 apr
L’angelo aveva i capelli scuri, due occhioni neri e una voglia di fragola sulla spalla sinistra. Indossava anche un paio di boxer arancioni. La donna non aveva dubbi: quell’uomo era suo marito. Il sole all’orizzonte segnava le dieci del mattino e le nuvole erano un luminoso affresco di panna. L’angelo ci volava sopra in direzione Nord-Ovest, a velocità moderata e tenendo la donna tra le braccia: con una mano le cingeva la vita e con l’altra il petto.
La donna indossava quella camicia da notte di seta bianca, molto scollata, che a lui piaceva tanto (ogni volta che la metteva, lui subito gliela toglieva…) e la sua pelle aderiva con piacere al petto nudo dell’uomo. Quel contatto la ispirò e assunse una posizione da ballerina: gamba destra distesa e l’altra piegata, con la punta del piede a contatto col ginocchio. Le braccia morbide, una sopra il capo e una davanti al corpo, sguardo all’orizzonte. Si trovò bellissima.
Aveva ragione, perché il vento subito le fischiò dietro. Poi le sollevò il vestito fino alle cosce e le accarezzò quella segreta parte di inconfessata vanità tutta femminile. Lei gradì e lasciò fare, anzi, in cuor suo sperò che l’angelo se ne accorgesse. Ma il suo sguardo restò fisso all’orizzonte.
Al secondo svolazzo però, la mano di lui si mosse e dal bacino scivolò giù, lentamente, ancora più giù, molto più giù, finché arrivò alle gambe. E rimise il vestito a posto. Quel gesto la eccitò e l’abbraccio dell’angelo si fece più stretto: anche lui aveva avuto la stessa reazione. <<Non ci credo.>> pensò la donna <<Evidentemente sto sognando!>>
E tutto si fermò. Per la prima volta in vita sua era immersa in un sogno e al tempo stesso ne era cosciente. Il suo cuore batté un colpo più forte e il sogno ripartì…
Il lago le apparve all’improvviso, appena dietro la montagna: il sole ci buttò dentro uno dei suoi raggi migliori e il blu della superficie schizzò fuori dall’acqua per tuffarsi nei suoi occhi. Era fresco, dolce, come un bicchiere di vita e la donna lo accolse con gioia: il blu le scese lungo la gola, attraversò il petto e si fermò tranquillo all’ombelico: dalla mano dell’uomo che la teneva stretta scoccò una scintilla, il blu prese a pulsare e la pancia della donna cominciò a crescere...
<<Qui è il comandante che vi parla.>> le disse l’angelo <<Abbiamo iniziato la discesa verso la nostra destinazione, dove prevediamo di atterrare tra venti minuti circa. Siete pregati di allacciare le cinture>> e l’abbracciò più stretta <<e di mantenerle allacciate fino ad atterraggio avvenuto. Grazie e buon volo.>>
<<Ricevuto, comandante!>> rispose lei e sciolse la posizione da ballerina, per assumerne una da donna innamorata, dolcemente abbandonata tra le braccia del suo uomo. L’angelo sorrise e le rialzò la spallina della camicia da notte che le era deliziosamente scivolata giù (era un gesto che faceva spesso, specie prima di levargliela del tutto).
<<Spero proprio che la nostra nuova tana ti piacerà.>> le sussurrò mentalmente <<perché è lì che lo faremo nascere>>.
<<Lo faremo nascere?!>> esclamò la donna <<Chi lo faremo nascere? Intendi dire: lo faremo nascere noi? Nel senso di io e te? E chi è che deve nascere?>>
Ma l’angelo aveva ripreso a pilotare e il suo viso ricordava un cartello appeso sui vecchi tram: NON PARLARE AL CONDUCENTE CHE NON DEVE ESSERE DISTRATTO DALLA MANOVRA.
La donna ebbe un gesto di disappunto, subito seguito da un sospetto: si toccò la pancia e la sentì grande e tonda. Poi abbassò lo sguardo e sgranò gli occhi: aveva una bellissima pancia da mamma, con dentro un pupo di almeno cinque mesi. Un lampo di gioia le invase il cuore, due cristalli di felicità le piovvero dagli occhi e tre parole le sfuggirono di bocca:
<<Sono-in-cinta!>>
E si commosse due volte, perché era incinta nel sogno, ma soprattutto, questo se lo ricordava bene, era incinta nella realtà.
<<Preparati amore>> le disse l’angelo <<ci siamo!>>
E con una manovra audace virò a destra, picchiò ad ali chiuse per un centinaio di metri, infine assunse la posizione di planata: ali ferme, aperte, infinitamente distese nelle distese infinite del cielo, per svelare al mondo lo splendore della vita e del loro amore.
Gli amanti persero rapidamente quota: in pochi secondi entrarono e uscirono da un gregge di nuvole, risalirono controvoglia tra le braccia di una corrente ascensionale e caddero a precipizio in un interminabile vuoto d’aria. Una raffica di tramontana finalmente li raccolse e li portò in un vento oltre il costone della montagna.
E la donna se lo trovò di fronte: era un nido, il nuovo nido del loro amore.
Col tipico salto illogico che fa dei nostri sogni il parco giochi più bello del mondo, qualcuno girò l’interruttore della luce e il Sole si spense. Al suo posto si accese la Luna con la sua magica corte di stelle, chine ai suoi piedi per renderle omaggio (e forse sognando un giorno di prendere il suo posto). L’angelo non c’era più, ora la donna volava da sola, senza ali e senza fatica. Fluttuava leggera nell’aria come uno spirito: era il suo bel pancione di mamma che la teneva su, come i palloncini del luna-park, sospesa nel cielo in confortevole posizione distesa, sdraiata tra le braccia della notte, sull’amaca personale della Luna. E il nido non si era mosso: era ancora lì in cima al picco, con meravigliosa vista sul lago. Ci si affacciava con grazia, come una nobile signora al balcone del palazzo. Unica differenza, non era più vuoto: ora aveva un ospite, uno solo, importante a giudicare dall’apparenza: era un uovo alto tre metri, dal guscio chiaro e lucidissimo (quella vanitosa dell’Orsa Maggiore ci si specchiò subito, facendo ingelosire l’Orsa Minore che come tutti sanno, soffre da milioni di anni di un complesso di inferiorità).
In cima all’uovo, piantato come un’allegra bandierina della vittoria, sventolava un fioccone rosa shocking. E accanto al nido, sopra una roccia, c’era appeso qualcosa di assai familiare: le ali dell’angelo. La donna ci svolazzò accanto e subito sentì oltre il sottile muro del guscio, prendere vita delle voci… Erano due: un uomo e una donna e… una cosa era certa: avevano il tono intimo che fa di due amici una coppia di amanti.
Il pugnale della gelosia la ferì solo di striscio e prima che potesse colpirla di nuovo (e magari aprirle il cuore in due), la donna si lanciò contro il guscio: attraversò la parete come fosse nuvola e la temuta verità la investì con tutta la forza della sua natura rivelatrice: vide suo marito nudo, sdraiato sui loro incantevoli cuscini di seta (comprati insieme in India!), abbracciato ad una donna bellissima, nuda anch’ella.
Non ebbe il tempo di fare una scenata (per fortuna!), perché la riconobbe subito: la donna era lei stessa. O meglio era il suo corpo, perché lei al momento era fuori dal suo solito contenitore materiale, fatto di tutte quelle ossa, sangue, nervi e muscoli, così provvisori e deteriorabili: era il Puro Spirito di Sé Medesima, l’Eterea Figlia Di Padre Tempo e Di Madre Luce, la Scintilla Vitale Del Suo Stesso Essere, l’Immortale Essenza dell’Anima Di Una Donna. Al momento gravida e innamorata, ma distaccata.
Condizione di grande privilegio, un sogno dentro il sogno: poteva godersi fino in fondo il suo uomo e al tempo stesso osservare il loro amore da un punto di vista nuovo. Come si suol dire: “dal di fuori”. Quello che vide però, la tirò dentro subito: lei e quell’angelo di suo marito erano l’uno tra le braccia dell’altra, fusi pelle a pelle (anche se a ben guardare lui indossava i suoi soliti boxer e lei la leggendaria camicia da notte di seta bianca) e sotto la volta serena di quell’uovo magico, si sorridevano. E si baciavano liberi e i loro cuori battevano insieme, con l’abbandono all’amore che solo i bambini sanno avere (e che non sanno affatto di avere).
Subito la donna provò il desiderio di ritornare in sé: mollare al volo la postazione di osservatore e rientrare di corsa nel suo legittimo corpo. Aveva sete d’amore: voleva bere fino all’ultima goccia quelle sorsate generose di appassionata felicità, nella realtà così rara. Poi si accorse che i due non erano soli.
Un piccolo cestino di vimini nascosto in mezzo ai cuscini emise un vagito, che si spinse fino alle orecchie della donna, delicato e insieme imperativo. La donna si staccò dall’uomo, allungò le mani verso il cestino e con tutto l’amore che aveva messo da parte nel corso degli anni, prese in braccio un bimbo.
Gli sorrise, lo innalzò al cielo e con l’orgoglio millenario degli esseri umani chiamati donne che nei secoli generarono il mondo, lo offrì alla magia della notte e allo sguardo infinito della Dea Madre.
Era un neonato di pochi giorni, femmina a giudicare dalla dolcezza dei lineamenti (e dal fiocco rosa fuori dal guscio) e guardava la donna con la fiducia sconfinata di tutti i cuccioli che aprono gli occhi per la prima volta. Lei si aprì la camicia da notte e le offrì il seno: il fiore rosso della piccola bocca si schiuse e con delicata sapienza, innata e sensuale, succhiò vorace la dolce linfa della vita.
L’uomo sorrise commosso e accolse accanto a sé il miracolo della creazione: con l’abbraccio possente dei Padri Guerrieri, quieto come il Silenzio Delle Stelle e grande come la Saggezza Dell’Universo. Fu in quel momento che il Puro Spirito Osservatore di lei, rapito dall’emozione, rientrò nel corpo: un corpo felice di donna, appassionato di compagna e maturo di madre.
Il corpo della donna saltò su come una molla e l’urlo che lanciò mandò in mille pezzi il silenzio della casa di campagna. Suo marito accese la luce e la trovò piegata in due: l’angoscia le impediva di respirare. Corse alla finestra, l’aprì e ce la trascinò davanti: l’aria fresca dell’alba le schiaffeggiò il viso e finalmente la donna riprese fiato. Poi scoppiò a piangere. Lui la tenne tra le braccia in silenzio, finché non smise di singhiozzare. Quindi l’accompagnò a sedere sul letto, le rialzò la spallina della camicia da notte che le era deliziosamente scivolata giù e le appoggiò la sua grande mano sul pancione. La donna doveva aver dimenticato lo sguardo dentro il sogno, perché i suoi occhi erano vuoti. Il suo cuore invece era pieno: di paura e di dolore.
Il marito le offrì un bicchiere d’acqua, lei lo bevve d’un fiato e finalmente gli parlò.
<<Ho sognato che ci amavamo molto.>> disse preoccupata.
L’uomo sorrise.
<<Che nostro figlio è una femmina.>>
Il sorriso dell’uomo si allargò.
<<E che avevo un pungiglione nella pancia”.
L’uomo non sorrise più. E subito gli venne in mente un’immagine: la spilla d’oro che portava sempre sua madre. Però non disse nulla, abbracciò dolcemente la sua compagna e la tenne così, in silenzio, finché non riprese sonno.
Il gel trasparente uscì a spruzzo dal tubetto e formò una piccola palla sulla pancia della donna: il medico ci appoggiò sopra il puntatore a ultrasuoni e un mare di puntini bianchi e neri prese a danzare sullo schermo. L’ecografia era un esame tranquillo, la donna lo sapeva ma il suo cuore era troppo agitato e neppure la mano del marito, stretta forte attorno alla sua, riusciva a calmarla: il suo sguardo consumava lo schermo alla ricerca di un segno che rivelasse la presenza del mostro, quel pungiglione maledetto che aveva visto in sogno.
Lei sapeva che c’era, perché i sogni non tradiscono mai.
I suoi occhi però videro solo una pioggia elettrica di gocce grigie, una tela stinta di macchie sbiadite, un videogame in bianco e nero in cui se vinci nasce il colore. Però non vince mai nessuno. Beh, se quella era la mappa del destino di sua figlia, per lei era troppo oscura.
<<Guardi signora>> disse il medico <<quella è la sua manina.>>
La donna la riconobbe subito.
<<E’ bellissima!>> esclamò commossa.
<<Vede: questo è il pollice, questo è l’indice e qui c’è il medio.>>
La manina si mosse.
<<Hai visto?>> le disse raggiante il marito <<Ti ha salutato!>>
La donna gli sorrise riconoscente, ma in cuor suo pianse. Perché sapeva che quello non era un saluto: era una richiesta d’aiuto. E il suo sguardo si spostò dal monitor al viso del dottore e non lo abbandonò più: cercava un battito di ciglia, un morso al labbro, un respiro sospeso… ogni gesto involontario poteva essere la prova di ciò che tanto temeva: che un orribile pungiglione si fosse piantato dentro la sua pancia.
L’unica cosa che sfuggì al medico fu un colpo di tosse.
<<Quella è la testa?>> chiese a un certo punto suo marito, più per sciogliere la tensione che per reale curiosità.
<<Sì, è la testa.>> rispose il medico con un sorriso <<Gliela sto misurando.>>
E toccò uno strano pulsante tondo su una tastiera: l’immagine sullo schermo si fermò, comparvero dei trattini, lui schiacciò altri pulsanti e da una macchinetta uscì una piccola fotografia dell’immagine. Ripeté l’operazione più volte e quando ottenne una striscia con numerose fotografie, accese la luce, guardò la donna negli occhi e le disse:
<<Cara signora, nella sua pancia c’è una